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42 Domenica 20^ Tempo Ordinario (Anche i non Ebrei) rif. al 14/08/11 PDF Stampa E-mail
                         Ventesima Domenica del T.O.

 

 Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 15,21-28)

In quel tempo, partito di là, Gesù si ritirò verso la zona di Tiro e di Sidòne. Ed ecco una donna Cananèa, che veniva da quella regione, si mise a gridare: «Pietà di me, Signore, figlio di Davide! Mia figlia è molto tormentata da un demonio». Ma egli non le rivolse neppure una parola.
Allora i suoi discepoli gli si avvicinarono e lo implorarono: «Esaudiscila, perché ci viene dietro gridando!». Egli rispose: «Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele».
Ma quella si avvicinò e si prostrò dinanzi a lui, dicendo: «Signore, aiutami!». Ed egli rispose: «Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». «È vero, Signore – disse la donna –, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni».
Allora Gesù le replicò: «Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri». E da quell’istante sua figlia fu guarita.

Parola del Signore

 

 Anche i non Ebrei….

Nella prima lettura il profeta Isaia ci parla, in questa domenica, di non ebrei, di stranieri che hanno aderito al Signore e nel Vangelo Gesù si incontra con una non ebrea, con una straniera Cananea che chiede il suo aiuto.Queste due letture ci offrono così lo spunto per una riflessione sul rapporto che Dio ha con gli Ebrei e con i non ebrei. Anzitutto vediamo che rapporto ha Dio con gli Ebrei. Il popolo di Israele è un eletto da Dio, scelto da lui, a cui Dio dà una missione molto importante.Era quella di essere il lievito per il monoteismo universale. Era il popolo che avrebbe dovuto mostrare al mondo la presenza di Yahweh; lo scrigno contenitore delle verità rivelate della legge di Dio, della liturgia e la culla dove sarebbe nato il Messia, ossia il Salvatore universale. Il popolo di Israele sarebbe stato, così, il nucleo centrale della salvezza dell’umanità intera, il motore universale per aprirsi all’azione di Dio. Israele centro mondiale della salvezza universale, questa era la missione che Dio gli aveva affidato.Quale è stata la reazione di Israele a questa bellissima mobilissima missione?Israele si rinchiuse in se stesso pensando alla sua elezione specifica e ridusse la liberazione universale alla liberazione politica della propria nazione, svilendo così la sua missione. Adesso, considerando il fatto del Vangelo, rimaniamo un po’ stupiti per come all’inizio Gesù risponda negativamente alla richiesta della straniera Cananea. La spiegazione la dà Lui stesso dicendo poco più avanti che “è stato mandato per le pecore perdute della casa di Israele”. Ecco, qui vi è una graduatoria di priorità: prima di tutto, la missione di Cristo era rimettere Israele al posto giusto della missione ricevuta da Dio per salvare il mondo intero e attraverso la conversione di Israele si sarebbe dovuta salvare tutta l’umanità. Prima restituire il posto giusto ad Israele e poi il resto, dopo vengono le altre cose; solo dopo la rinuncia libera e volontaria di Israele a ravvedersi per ritornare sulle piste di Dio, Gesù, solo allora, si dirige verso i non ebrei e darà le briciole dei suoi miracoli a questa straniera. Per la sua fede, loderà pubblicamente il centurione romano che gli chiedeva la salute di un suo dipendente. Manderà sano e salvo e convertito lo straniero samaritano, l’unico dei dieci che era tornato a ringraziarlo, dicendogli anche che la sua fede lo aveva salvato.Orbene, anche il nuovo Israele, che è la Chiesa, ha sofferto, più o meno in un altro campo, di questa stessa mancanza di universalità rinchiudendosi a volte nel particolarismo che in certi momenti ebbe il sopravvento. Vedete, persino nella chiesa primitiva abbiamo avuto l’eresia dei giudeizzanti ossia di quegli ebrei che, convertiti al cristianesimo, esigevano che tutti, anche i pagani, passassero prima per la cultura ebraica, per la religione di Mosè e solo in seguito entrare nella religione di Dio, di Gesù Cristo. Contro questo si alzò Paolo e praticamente li annichilì, però, ancora nei secoli successivi, specie nell’incontro con popoli di antiche civiltà, i missionari si lasciarono andare credendo che la cattolicità significasse estendere a tutto il mondo la romanità, ossia fare in tutte le parti del mondo quello che si faceva a Roma e che la consegna del vangelo fosse un processo di occidentalizzazione  dei continenti che si scoprivano, l’America, l’Africa, l’Asia, suscitando resistenze tra la gente. A quei tempi queste resistenze rimanevano inascoltate. Ma le resistenze di ieri le ritroviamo oggi con la rivendicazione di quei popoli di far valere la propria cultura, di poter parlare nella liturgia le loro lingue native, di usare gesti della propria cultura. Fratelli e sorelle, l’esempio di Michele da Monte Corvino che si fece mongolo tra i mongoli, del grande Matteo Ricci che con la sua scienza si fece cinese tra i cinesi, sono le prime avvisaglie di ciò che nel Vaticano II si chiamò “inculturazione”, una nuova forma di evangelizzazione proclamata da Giovanni Paolo II di cara e felice memoria.“Inculturarsi” significa immergersi nel mondo da evangelizzare, imparando anzitutto la loro lingua, adattandosi e assumendo nuovi modi di vivere, che sono i loro modi, le loro abitudini, la loro cultura e scoprire i semi di verità che Dio ha già messo in quei popoli.Oramai tutta la Chiesa è diventata missionaria e anche noi, volenti o nolenti, ci troviamo di fronte a ogni tipo di cultura e di espressioni religiose nei compagni di lavoro, nei concittadini, in coloro che vivono nello stesso condominio a contatto quotidiano gli uni con gli altri. Quali “istruzioni per l’uso” dobbiamo seguire? Senza grandi pretese suggerirei alcune cose.Anzitutto dobbiamo essere profondamente convinti che Dio ci ha chiamati e ci sostiene nella piena verità. E’ un suo dono il fatto che noi siamo nella verità totale, che la accettiamo e la viviamo. Per nessun motivo, poi, imporremo forzatamente la nostra verità a chi è diverso, rispettando così l’altrui libertà di coscienza. Ci sforzeremo di vedere nella condotta degli altri quei semi di verità che Dio ha già deposto nei loro cuori per aiutarli a maturare in Cristo.Vivere, poi, al massimo delle possibilità la nostra fede nel servizio degli altri specialmente di coloro che sono più bisognosi e così riuscire a stupire chi è diverso da noi e per il resto affidarsi a Dio.Lui farà tutto il resto. Vorrei portare l’ esempio di un caso letto ultimamente su una rivista cattolica. In Palestina, nella cittadina di Betania nei pressi di Gerusalemme, si trova un orfanotrofio gestito da una cristiana palestinese che lì raccoglie ragazzi abbandonati, orfani di ogni etnia, ebrei, musulmani, cristiani, maroniti, palestinesi, tutto ciò che cade tra le sue mani; tutti poveri bambini. A chi le ha chiesto il perché raccogliesse tanti bambini di ogni etnia senza distinzione lei ha risposto: “mi sapete dire in quale lingua piange un bimbo piccolo?”. Il risultato è evidente: ha più di cento bambini nel suo orfanotrofio, dei quali è diventata la mamma. Un suo pupillo musulmano, diventato adulto e inviato in Libano, si rifiutò di attaccare come soldato un insediamento cristiano. A chi glielo ordinava rispose: “Ma come, attaccare un insediamento cristiano? Essi sono stati gli unici che mi hanno salvato la vita e che mi hanno voluto bene”.Fratelli e sorelle, stupire è quello che noi dobbiamo fare nella nuova evangelizzazione e stupiremo il prossimo con i nostri fatti più che con le nostre parole.Così sia.
Ultimo aggiornamento ( venerd́ 12 agosto 2011 )
 
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