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47 Domenica 25^ T.Ordinario (L'autorita' e' servizio) rif. al 20/09/09 PDF Stampa E-mail

Venticinquesima Domenica del Tempo Ordinario

 

Dal vangelo secondo Marco ( Mc 9, 30-37)

In quel tempo, Gesù e i discepoli attraversavano
la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Istruiva infatti i suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell'uomo sta per esser consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma una volta ucciso, dopo tre giorni, risusciterà». 
Essi però non comprendevano queste parole e avevano timore di chiedergli spiegazioni.  Giunsero intanto a Cafarnao. E quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo lungo la via?». Ed essi tacevano.  Per la via infatti avevano discusso tra loro chi fosse il più grande. 
Allora, sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuol essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servo di tutti». E, preso un bambino, lo pose in mezzo e abbracciandolo disse loro: «Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me; chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato». 
                                             

                                        L’autorità è servizio 

Nell’omelia odierna partiremo da un fatto al quale seguirà una riflessione per poter fare poi le applicazioni concrete nella prassi della nostra esistenza. Il fatto ci viene presentato dal vangelo di Marco. Marco struttura tutto il suo vangelo come una marcia di Gesù dalla Galilea, il luogo della sua prima missione evangelizzatrice, andando poi verso la Giudea, che è il termine della marcia con la culminazione del proprio sacrificio, dell’offerta della propria vita sul Calvario. Ebbene, in questo viaggio Gesù comincia a illustrare il senso di questa sua missione. Perché se ne va a Gerusalemme? Perché a Gerusalemme Gesù sarà condannato dall’ “intelligentzia”, dai poteri religiosi e politici della sua nazione e offrirà la sua vita come servizio per la liberazione del popolo. Perciò dice: “Anche voi, prendete la vostra croce fino all’offerta delle vostre vite”. Ma prima dell’offerta finale, il nostro servizio deve essere un servizio di ogni giorno che dura tutta la vita. Non basta, solamente nel momento in cui si muore, offrire la propria vita come servizio: è tutta la nostra esistenza che deve essere servizio. Come creature siamo stati creati tutti diversi, con ruoli specifici per ognuno, ognuno ha il suo dono. Tommaso d’Aquino, il grande teologo, scrisse che i doni di Dio, qualunque essi siano, ci sono dati per il bene di tutti. Perciò i nostri doni, le nostre capacità, i nostri beni, li dobbiamo far funzionare con questo orientamento: è questa la missione minima di ogni creatura; è in beneficio di tutti. Ma questa è una sfida. Con il “fiato sul collo dell’empio”, come dice la prima lettura, io lo disturbo se dedico la mia esistenza al servizio. Come conseguenza si scateneranno persecuzioni, eliminazioni, e anche morte, perché l’empio non può sopportare che io viva in forma diversa dalla sua. Il suo è un progetto di globalizzazione totale, di omologazione, di farci tutti uguali a lui, come dice la prima lettura. Ma come cristiani, fratelli e sorelle, abbiamo una marcia in più: c’è l’insegnamento di Gesù che ci dice con chiarezza: “Io sono venuto per servire e non per essere servito, e chi tra voi vuole essere il primo, sarà l’ultimo e il servo di tutti.”(cfr. Mc. 10,43-45). Però, la leva che rende possibile fare questo, l’impulso interno, la motivazione profonda è la frase che ha detto Gesù Cristo: “Ciò che avete fatto a uno di questi amici miei fratelli più piccoli, lo avete fatto a me”(Matt. 25,40). Il Cristo si maschera dietro la debolezza dell’umanità, di ogni uomo, donna, bambino, anziano che hanno bisogno di un servizio, dietro quella maschera di quel vecchio, di quella donna, di quel giovane , di quel bambino, di quella mamma, di quel papà, di quel povero barbone che tende la mano, ecco lì è il Cristo che in mille maniere mi si presenta, chiedendo l’offerta, il servizio, dei doni che io ho ricevuto dal Padre. Così, nella prassi, hanno fatto i campioni, gli atleti cristiani: ad esempio Suor Teresa di Calcutta. Il giornalista inviato speciale del Times di Londra, mandato in India per vedere cosa facesse mai quella piccola suora che era sulla bocca di tutti, vedendola trasportare un lebbroso come una mamma porterebbe il suo neonato, la guardò e disse: “Sorella, io non lo farei nemmeno per un milione di dollari!”. Madre Teresa lo guardò e disse: “Nemmeno io. Perché non lo faccio per un milione di dollari. Lo faccio per  Gesù Cristo che mi si presenta attraverso questo povero malato!”. Fratelli e sorelle, Suor Lionella Sgorbati, uccisa l’altro giorno a Mogadiscio, in Somalia, continua a servire i suoi bambini orfani che ha servito durante tutta la vita, li ha serviti con il suo sacrificio, e continuerà a servirli adesso dal Paradiso. Santa Teresina del Bambin Gesù chiedeva al Signore: “Il giorno in cui mi accetterai in Paradiso, o Signore, ti chiedo la grazia di poter spargere rose sulla terra a tutti quelli che me ne chiederanno”. Ossia, il concetto di servizio è fondamentale nella vita cristiana, perché è il concetto sostanziale della vita di Cristo. Tu, io, che fai, che faccio, che fa ognuno della propria vita? Che cosa ne faccio io dei doni che ho ricevuto? Io papà, io mamma, noi fratelli, lavoriamo per il bene comune? Lavori, ti preoccupi di essere elemento utile nella tua comunità, lo fai per i tuoi allievi, per i tuoi pazienti, per quei ragazzini che tu hai di fronte a scuola e che sono assettati di verità? Tu, operatore di sanità, con i tuoi pazienti dell’ospedale: è il Cristo che dietro quegli occhi febbricitanti, quei corpi martoriati, ti chiede il tuo servizio! I tuoi clienti che vengono al negozio per comprare qualcosa, che non hanno la possibilità di ottenere ciò che vorrebbero, come li tratti? Li tratti come fosse il Cristo che ti chiede qualcosa oppure li tratti da semplici numeri, come clienti da servire rapidamente e togliersi il prima possibile l’ingombro della loro presenza? Il tuo pubblico che viene allo sportello per chiederti un servizio come lo tratti? Come puoi dire che la sua pratica si è smarrita? Questo significa non avere rispetto per il pubblico. Puoi dirgli torni domani, quando la persona che hai davanti ha fatto chi sa quali salti mortali per venire in ufficio, lasciando il lavoro, la casa, venendo da lontano e tu rispondi: “Torni domani!”?. Questo può succedere  perché come cristiano non ti convinci che di fronte a te in tutti coloro che ti chiedono un favore, c’è il Cristo che tende la mano perché tu gli dia ciò che puoi dare e che come cristiano gli devi dare.“Ciò che avete fatto a uno di questi miei fratelli più piccoli lo avete fatto a me!”(Matt. 25,40). Così sia.

 

Ultimo aggiornamento ( venerd́ 18 settembre 2009 )
 
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