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46 Domenica 24^ T.Ordinario (Il dolore, strada verso la salvezza) rif. al 13/09/09 PDF Stampa E-mail

                    Ventiquattresima Domenica del Tempo Ordinario

 Dal vangelo secondo Marco (Mc 8, 27-35)

In quel tempo, Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo; e per via interrogava i suoi discepoli dicendo: «Chi dice la gente che io sia?». Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista, altri poi Elia e altri uno dei profeti». Ma egli replicò: «E voi chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». E impose loro severamente di non parlare di lui a nessuno. 
E cominciò a insegnar loro che il Figlio dell'uomo doveva molto soffrire, ed essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, poi venire ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare. 
Gesù faceva questo discorso apertamente. Allora Pietro lo prese in disparte, e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e guardando i discepoli, rimproverò Pietro e gli disse: «Lungi da me, satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini». 
Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà». 
                                                              Il dolore, strada verso la salvezza 

Il libro che nella Bibbia si chiama “Isaia” è stato sviscerato dagli esegeti con un’analisi accuratissima. Esaminando le parole, le forme grammaticali, la sintassi del testo, questi studiosi hanno rilevato delle divergenze di linguaggio tali da poter lanciare l’ipotesi, oramai accettata da tutti, che non vi sia un unico scrittore dietro tutto questo libro della Bibbia, che noi chiamiamo “Isaia”, ma è probabile che sia un insieme di tre libri, scritti da tre autori differenti che i tecnici chiamano Proto, Deutero, Trito – Isaia, dal greco tradotto in “primo, secondo e terzo Isaia”. Il terzo Isaia, nei capitoli 50 ,51, 52 e 53, da uno dei quali è stato tratto il brano della prima lettura di oggi, descrive una figura emblematica che l’autore chiama con il nome di “Servo di Yahweh”. Un uomo che è servo di Dio, un uomo che deve soffrire molte pene, dolori, ingiustizie, angherie. Ne  abbiamo l’esempio proprio nella descrizione della prima lettura di oggi, che dice: “Ho presentato il dorso ai flagellatori, mi strappavano la barba, mi insultavano, mi sputavano in faccia”. Poi la descrizione dei dolori continua con moltissimi dettagli così particolareggiati che i Padri della Chiesa hanno visto nel “Servo di Yahweh” la figura anticipata del Cristo sofferente nella sua passione. Queste descrizioni erano conosciute dagli ebrei che partecipavano alla lettura della Bibbia ogni sabato. Però, per pregiudizi che si erano formati lungo i secoli, non potevano accettare che questo servo così maltrattato fosse il liberatore, l’inviato da Yahweh, l’Unto dallo stesso Yahweh per essere il Messia, che vuol dire proprio Unto, inviato speciale da Dio per liberare Israele da tutte le sue difficoltà e dipendenze politiche. Non potevano accettarlo. Per loro questo inviato - Messia doveva avere, così immaginavano, una capacità almeno da “leadership”, se non di più, come quella dei grandi condottieri che essi avevano conosciuto: imperatori, re, Giosuè, Mosè, Alessandro Magno, Nabucodonosor, i Faraoni, Ciro, Davide, Salomone, ecc.  Ecco il nodo della questione su cui oggi dobbiamo meditare: il progetto di Dio è presentato agli Ebrei e questi non lo accettano. Ci si può domandare: perché il Padre ha scelto questo progetto di sofferenze e dolori per il suo servo, inviato speciale, per il Verbo fatto uomo, al fine di salvare l’umanità? Perché ha scelto questa strada? Fratelli e sorelle, porci questa domanda è penetrare nell’infinita e misteriosa profondità della volontà di Dio che ci sfugge e che evidentemente non è alla nostra portata. Allora è meglio piuttosto domandarci: “Come mai anch’io, come gli ebrei, faccio fatica e a volte non accetto in pieno il progetto di Dio su di me?”. Anche qui penso che il dinamismo sia lo stesso di quello che avevano gli ebrei. Anche io ho immaginato Dio a modo mio, usando la mia fantasia, le mia ragione, le strutture di cultura che hanno formato la mia personalità. Dico! Ci immaginiamo quale dovrebbe essere l’azione di Dio verso di noi, in favore mio che cosa dovrebbe fare, in quale tempo, con quale modalità, come dovrebbe agire, ma poi alla resa dei conti non ho trovato ciò che volevo, sono rimasto deluso, ho abbassato la guardia dicendo che tanto era tutto inutile, il Signore non mi ascolta, ho abbandonato la preghiera, a volte mi sono decisamente allontanato da Dio. Fratelli e sorelle! Ecco qui il nostro errore. Qual è allora il giusto atteggiamento? Il giusto atteggiamento ce lo dice sia la ragione che la Sacra Scrittura. La ragione: gli antichi filosofi nel loro sapere umano, fin dai tempi antichissimi, hanno scoperto che l’azione di ogni essere si realizza secondo il proprio essere. Mi spiego: l’elefante agisce come elefante, la formica come formica, l’elefante non può agire come formica ossia l’azione dipende dal tipo di essere che uno è. Così pure l’uomo, così pure il cristiano, la cui natura è umana, però è stata elevata alla partecipazione di una Vita superiore, alla partecipazione della Vita Divina di figli adottivi di Dio Padre nel Figlio naturale, il Verbo fattosi uomo in Gesù Cristo, nell’amore dello Spirito Santo. Partecipiamo così della stessa natura divina, che però nel Verbo ha assunto la natura umana per poterci divinizzare. Partecipare della stessa natura di Dio, vuol dire essere figli suoi certamente non naturali ma adottivi. Quindi dobbiamo agire come tali, dobbiamo essere in modo vitale figli di Dio che ne conoscono le caratteristiche, gli si adeguano. Ecco che nella Sacre Scritture il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo si sono fatti conoscere come Comunità Trinitaria. Come possiamo, allora, agire in conformità alla nostra nuova super-natura di figli adottivi di Dio? Un principio dei filosofi antichi dice: “nihil volitum quid precognitum”, non si può volere niente di ciò che non si conosca in forma preventiva. Dunque, noi dobbiamo conoscere questo e lo faremo attraverso la Sacra Scrittura. Ora la Sacra Scrittura cosa ci dice di Dio, la cui Vita è partecipata a noi? Ci dice anzitutto che Dio è amore, questa è la pietra basilare che allontana da noi ogni fantasia che riduce Dio a schemi umani, ossia lo antropormorfizza secondo le nostre categorie, facendoci credere che Dio sia una cosa che non è. Ancora: Dio ha una volontà salvifica verso di tutti, ossia Dio vuole che tutti gli uomini siano salvi, vuole che anch’io mi salvi, vuole la mia salvezza, mi ha predestinato ad essere salvo. Ciò significa  sviluppare totalmente tutte le qualità che Lui mi ha dato, realizzare il sogno che Lui ha avuto quando mi ha creato; vuole per me la mia piena e totale realizzazione e per questo mi ha inserito in un suo progetto di salvezza, un progetto complesso nel quale il filo della mia vita si interseca con tanti altri fili, innumerevoli, inimmaginabili da parte mia, e in una serie incommensurabile di “variabili” e di rapporti che non posso gestire e non posso nemmeno immaginare. Questo lo fa sempre in vista della mia salvezza, ed ecco allora che in quel progetto tutto ciò che mi succede, Dio lo orienta verso il mio bene, verso il bene di coloro che lo amano e accettano il suo progetto; anche le cose negative, che procedono dalla malvagità umana, dalle conseguenze del peccato dei nostri primi progenitori, che hanno bacato il nostro DNA spirituale, tutte le orienta verso il nostro bene, il mio bene. Le immancabili prove della vita, le lotte, le difficoltà dell’esistenza nostra che tende alla morte, non saranno mai superiori alla nostra capacità di resistenza: se la prova è grande Dio ci darà i mezzi per confrontarci con essa e vincere (cfr. 1 Cor. 10,13). Questo però rispettando la mia volontà, la  libertà che Lui mi ha dato, perché Lui mi ha creato libero. Se io non voglio accettare questo, ossia se io esercito male la mia libertà, non accetto il progetto di Dio, lui non mi violenta , ma le conseguenze sono mie, mia responsabilità; siamo noi che uscendo da questo cono di luce, di salvezza , di bontà, di armonia, di bellezza divina, ci collochiamo in posizione di resistenza, di negazione della luce; ecco allora l’oscurità, la negazione della bontà, ecco allora l’odio, le cattiverie, le malvagità. Fratelli e sorelle, lasciamoci guidare dallo Spirito e non seguiremo i consigli del nostro egoismo, della nostra immaginazione (cfr. Gal. 5,16). Così Cristo non sarà il frutto delle mie idee e fantasie, ma sarà il Figlio del Padre che si è fatto uomo per far entrare me nella Vita Divina. Attraverso la sua umanità Lui si comunica a noi nei sacramenti, ci fa entrare, attraverso quell’umanità che ha sofferto la morte, nella famiglia divina, facendomi diventare figlio adottivo del Padre.Così sia. 

Ultimo aggiornamento ( domenica 13 settembre 2009 )
 
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