Diciottesima Domenica del Tempo Ordinario Dal vangelo secondo Marco (Mc 9, 2-10)
In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli.Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù.Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbi, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l'amato: ascoltatelo!». E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro. Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell'uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti.
Festa della Trasfigurazione del Signore Questa diciottesima domenica del Tempo Ordinario avrebbe dovuto essere la seconda delle cinque “Domeniche del Pane”, come ho accennato domenica scorsa. Però, cadendo oggi la festa solenne della Trasfigurazione del Signore, la domenica viene soppressa e ha il sopravvento la festività della Trasfigurazione. Il discorso sulla seconda domenica del pane lo recupereremo domenica prossima.La festa della Trasfigurazione del Signore, che nasce in oriente, è detta dagli orientali la “Pasqua dell’estate” e passa in occidente nel 1456 per opera del Papa Callisto II, vescovo presumibilmente di origine greca. Chiamare “Pasqua dell’estate” questa festa significa dare veramente una chiave per l’interpretazione del significato di questo spettacolare evento che successe con la presenza di Cristo, Mosè, Elìa e degli apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni, avendo come sfondo lo Spirito Santo in forma di nube e la voce tonante del Padre che parlò dal cielo. Ci domandiamo che cosa significhi la presenza di Mosè e di Elìa in questo evento. Fra gli Ebrei dire “Mosè ed Elia” significava dire: “Mosè: colui che ha dato la legge; Elia: il più grande dei profeti”. Praticamente si usava dire: “La Legge e i Profeti”, per indicare la storia globale di Israele, ossia tutto ciò che si riferisce all’Antico Testamento. Perciò “Mosè ed Elia” in quell’evento rappresentano proprio l’Antico Testamento e stanno lì per passare il testimone dall’Antico al Nuovo Testamento, in una forma spettacolare e solenne. Difatti nel progetto di Dio, in quell’istante subentra una nuova presenza divina nella storia non solo di Israele ma di tutta l’umanità. Ecco! Assistiamo a una teofania, ossia a una manifestazione divina. Cristo, il Verbo fatto uomo, la cui natura umana diventa luminosissima ed espande una luce fuori dal comune, e dal cielo la voce tonante del Padre che dice: “Questo è il mio Figlio prediletto, in lui mi sono compiaciuto, ascoltatelo!”; lo Spirito Santo in forma di nube luminosa avvolge tutto l’ambiente. Tutto questo indica l’entrata in una nuova dimensione. Quando il Padre dice: “Questo è il mio Figlio prediletto, ascoltatelo”, vuol dire che la Legge non è più Mosè, ma è Cristo, non e più la parola dei profeti e di Elia da seguire, ma Cristo è la Parola di Dio per eccellenza. Allora qui, fratelli e sorelle, si inizia un processo di trasformazione, si va verso la luce di Dio. In questo caso la natura umana di Cristo dà dei bagliori che sono preludio alla situazione definitiva che si produrrà nella risurrezione, dove la natura umana è veramente trasfigurata, la materia esce da questo sistema di leggi ed entra in un sistema nuovo, in una nuova dimensione con nuove leggi. Fratelli e sorelle! Questo è ciò che succede a Cristo. In questo, che è un fatto successo nella storia ma che è fuori dalla quotidiana realtà, noi siamo coinvolti a fondo. Anche se non eravamo presenti sul monte Tabor, tuttavia noi, battezzati in Cristo risorto, siamo stati avvolti dallo Spirito Santo che, con la sua luce, ci ha penetrato rendendoci luminosi, quali figli di Dio, adottivi però nel suo Figlio naturale. Come dice il sommo poeta Dante, nel cantico XXIV del Paradiso, alla terzina 145: “Questa è la favilla che si dilata in fiamma poi vivace, e come stella in cielo in me scintilla”. Così è per noi ai quali nel battesimo è stata data la scintilla dello Spirito Santo che, diventando poi una fiamma, fuoco enorme, ci trasforma in creature luminose. Fratelli e sorelle lasciamo che questo Santo Spirito ci invada, rendendoci sempre più incandescenti! Questo affinché si avveri ciò che Gesù ha detto: “Sono venuto sulla terra a portare il fuoco, e che altro desidero se non che si propaghi?”(cfr. Luc. 12,49) incendiando tutta l’umanità. Così si compirà il Regno di Dio e a questo siamo stati invitati a collaborare: alla trasformazione dell’umanità. Così sia.
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