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27 Domenica 5^ di Pasqua (La vite e la vita) rif. al 10/05/09 PDF Stampa E-mail

Quinta Domenica di Pasqua

 Dal vangelo secondo Giovanni (Gv 15, 1-8)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già mondi, per la parola che vi ho annunziato. 

Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca, e poi lo raccolgono e lo gettano nel fuoco e lo bruciano. 
Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».  
                                               

                                          La vite e la vita 

Domenica scorsa e anche in questa domenica il Signore Gesù si presenta a noi specificando la sua personalità e al tempo stesso precisa il rapporto che noi dobbiamo avere con lui. Ma siccome questi due aspetti, del rapporto suo con noi e nostro con lui, nella loro essenza si collocano nella zona del mistero, allora Gesù usa delle icone, immagini , paragoni comprensibili dal popolo al quale lui si rivolgeva. Domenica scorsa abbiamo visto come Gesù si definiva il Buon Pastore e perciò noi eravamo il suo gregge. Lui ci guidava e noi eravamo guidati da Lui. Oggi, invece dell’immagine bucolica del pastore, Gesù ci si presenta con un’immagine agricola e ci dice: “Io sono la vite e voi i tralci”(Giov. 15,5) e continuando il discorso fa emergere il tipo di rapporto che intercorre tra noi e Lui.  Si tratta di quello che c’è tra la vite e i suoi tralci: è un rapporto vitale perché dal tronco della vite ai tralci passa la linfa che permette ai tralci di produrre frutti. La Vera Vita procede da Cristo e viene a noi se veramente la vogliamo accogliere, come la linfa vegetale passa dal tronco della vite alle sue propaggini, cioè ai suoi tralci. Dopo questa impostazione che Cristo ci fa, è lecito domandarci: qual è il rapporto che noi abbiamo con il Cristo? E’ veramente, nella linea che Cristo ci chiede, un rapporto vitale? Senza dubbio; anche oggi vi sono moltissimi cristiani che hanno, chi più chi meno, questo rapporto vitale con il Cristo, come Lui ce lo descrive nel vangelo di oggi. Abbiamo i grandi santi, ultimamente abbiamo avuto Madre Teresa di Calcutta, Padre Pio, ecc…, ma in una visione globale di ciò che il mondo cristiano mostra di sé, è lecito chiedersi se questa visione di vita che Cristo ci presenta sia veramente realizzata in forma maggioritaria dai cristiani ossia se la maggior parte dei cristiani sappiano e vivano veramente il rapporto con il loro Cristo risorto come un rapporto di vita. L’esperienza personale di ciascuno di noi può essere utile per vedere se noi stessi abbiamo con Cristo una comunicazione di vita o piuttosto una comunicazione di tipo superficiale, sociologico. Anche l’osservazione sul mondo che ci circonda aggiunge maggiori dati in questo campo e possiamo rendercene conto osservando i cristiani intorno a noi. Per il mio contatto personale con laici cristiani durante i non pochi anni del mio sacerdozio ho dovuto constatare che le loro lamentele si riferivano soprattutto alla “ignoranza” di tante verità cristiane, di tanti aspetti sconosciuti delle verità della loro fede. Ma forse possiamo ancora aumentare questa nostra conoscenza avvalendoci di studi e riflessioni fatte da pensatori, pastori, incaricati di comunità religiose, per avere un giudizio più equilibrato e più generale. Un mio compagno di studi del seminario salesiano negli anni 1934-1938 a Bagnolo Piemonte, Don Fernando Salvestrini che poi fu parroco a Roma, ha scritto un commentario al lezionario festivo. In uno dei suoi commenti scrisse: “L’aspetto più carente nella formazione dei cristiani degli ultimi secoli è stato quello di ridurre la fede cristiana a semplice conoscenza”. Un po’ più avanti registra la citazione di uno scrittore francese Jacques Leclerc  che dice: “Il cristianesimo considerato così, risultava essere un insieme di strutture, di conoscenze, nelle quali operavano i cristiani, le gestivano; nelle quali i cristiani erano inseriti, ma il cristianesimo come vera vita non era dentro ai cristiani”. E continuando, dice: “Oggi, paragonandolo con le ideologie umanistiche, liberali, marxiste, ecc. in cui la maggior parte del mondo crede,il nostro cristianesimo è considerato da loro un’anticaglia, una costrizione intollerabile e nel migliore dei casi è considerato una rivoluzione mancata”. E, per di più, con il progresso delle scienze positive, una delle nostre scienziate attuali è arrivata ad affermare così su un giornale: “Non riesco a capire come si possa continuare con questi chiari di luna a sostenere la stupida idea dell’esistenza di Dio”. Ciò è stato detto proprio qui, in questo Paese cosiddetto “cristiano”. Infine una citazione di un teologo brasiliano: “L’ateismo di oggi non è più come quello di una volta, aggressivo; non fa più dei martiri con la persecuzione, ma  soprattutto in occidente è un acido che provoca una tranquilla dissoluzione critica dell’idea di Dio, che liquida come obsoleta ogni espressione che si dice su Dio”. Basta aprire i giornali, alcune riviste, per rendersene conto e come conclusione si arriva ad un “buonismo” di base naturale, valevole per i non battezzati ma insufficiente per i cristiani. Abbiamo ascoltato e letto in questi ultimi tempi, nei nostri giornali e riviste, ed è stato detto nelle interviste televisive, del bisogno che c’è di strutturare una “religione civile”, nella quale le costituzioni dei popoli sarebbero il testo base, ossia la “nuova bibbia”. Ecco qui la dissoluzione del cristianesimo in un “buonismo”! Fratelli e sorelle, questa carrellata di moderne opinioni che ho presentato, ci fa vedere l’urgenza di agganciarci e di inserirci sempre di più in Cristo. Attraverso la sua umanità risorta ci viene la Vita della Santissima Trinità, del Padre, del Figlio e dello Spirito. Attraverso quell’umanità del Cristo che il Verbo ha assunto e questo inserimento sempre più profondo Lui ci “divinizza” come dicono i teologi ortodossi. Questo contatto con l’umanità del Cristo la possiamo avere nei sacramenti, soprattutto nell’Eucarestia che è un contatto reale, fisico, non solo spirituale, perché lì c’è veramente il Cristo e a ciò noi crediamo come cristiani. Concludo con una domanda: “Che grado di rapporto vitale ho io con il Cristo? Lui mi da tutto ciò di cui ho bisogno, ma io accetto ciò che mi offre? Così sia. 

Ultimo aggiornamento ( sabato 09 maggio 2009 )
 
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